Percorso

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Sant'Antonio

LA BASILICA - PERCORSO

Un edificio monumentale e composito: tale appare la basilica del Santo a un osservatore che si fermi ad ammirare l’architettura esterna. Sebbene solo dall’alto si possa godere della visione completa dell’edificio, tuttavia anche dal lato sud o dal sagrato è possibile ammirare l’insieme dei suoi elementi architettonici: le cupole, i campanili, i minareti e soprattutto la facciata: larga 37 metri e alta 28, è stata costruita secondo i canoni del romanico lombardo, ma la struttura massiccia è alleggerita da particolari gotici, quali quattro arcate ogivali, una loggetta e una ringhiera scoperta.

Le porte in bronzo risalgono a fine ‘800 e sono opera di Camillo Boito. La lunetta sopra la porta centrale invece, è una copia dell’originale quattrocentesco di Andrea Mantegna.

La basilica, edificata su pianta a croce latina, è divisa in tre navate che incontrano un largo transetto: la navata centrale conduce al presbiterio, mentre le due laterali si prolungano nel deambulatorio che circonda come un anello presbiterio e coro.

L’interno è caratterizzato da un’austera grandiosità: la penombra in cui la chiesa è immersa affascina sin dal primo istante il visitatore che dal fondo dell’edificio può cogliere con uno sguardo d’insieme l’imponente mole romanica alzata dal gotico e alleggerita dalle bianche cupole orientaleggianti, mentre in basso le pareti e i pilastri sono arricchiti da monumenti, altari, dipinti e lapidi di ogni epoca e stile.

Iniziando dalla navata destra, dopo i due altari secenteschi di S. Carlo Borromeo e S. Giuseppe da Copertino e delle Anime, si giunge alla cappella del Santissimo, già dei Gattamelata: la cappella, in stile gotico, venne edificata nel 1456 per accogliere le tombe del Gattamelata e della sua famiglia; ancor oggi infatti, nelle pareti laterali, si trovano i due sarcofagi di Erasmo da Narni, a sinistra, e di suo figlio Giannantonio, a destra, originali di Gregorio d’Allegretto (1458). Nel 1651 fu adibita a cappella del Ss. Sacramento. Tra il 1926 e il 1936 Lodovico Pogliaghi , pur mantenendo l’impianto quattrocentesco, l’ha decorata con marmi, bronzi e mosaici. Di fronte alla cappella, appesa a un pilastro, è esposta la splendida tela dipinta dal Tiepolo nel 1736, raffigurante il martirio di S. Agata.

Superata la secentesca cappella del Sacro Cuore, si giunge, nel transetto destro, alla cappella di San Giacomo (che fu detta anche di San Felice, perché l’altare conserva le reliquie di tale martire).Eretta nel 1372 dall’architetto e scultore veneziano Andriolo de’ Santi per la famiglia Lupi di Soragna, la cappella rappresenta uno dei capolavori del Trecento sia per l’architettura, sia per lo stupendo ciclo pittorico di Altichiero da Zevio; sembra che lo stesso Altichiero abbia contribuito anche alla progettazione.

Si accede al piccolo edificio a pianta rettangolare attraverso archi a sesto acuto sorretti da colonne in marmo rosso; sopra agli archi si può ammirare un’elegante teoria di edicole a guglia con statue di santi. Le volte a crociera si ripetono sulla parete di fondo, alle cui estremità si trovano due sarcofagi, sospesi su robusti mensoloni.

La cappella è interamente decorata da affreschi che impegnarono Altichiero dal 1374 al 1378 e che narrano la vita di San Giacomo in otto lunette e in due affreschi della zona inferiore. La parete di fondo è occupata da una grandiosa Crocifissione, divisa dalle arcate in tre riquadri che tratteggiano curiosi, indifferenti e donne piangenti, tutti in abiti contemporanei. Sono qui ritratti i più diversi ceti sociali: vi compaiono cavalieri, contadini, artigiani e i loro volti esprimono la partecipazione al tragico evento. Al centro, sopra il gran numero di persone accalcate, si staglia Cristo, il cui pallore mortale è ulteriormente messo in risalto da un cielo scuro in cui angeli piangono la morte del loro Signore.

Oltrepassata la cappella di San Giacomo, si giunge all’inizio del deambulatorio: da qui si gode la più suggestiva visione dell’interno della basilica e si accede alle nove cappelle radiali, così chiamate perché sporgono dall’abside in forma di raggiera. Fatta eccezione per la secentesca cappella centrale, sono state tutte ridipinte tra la fine del secolo XIX e l’inizio del secolo XX. Procedendo da destra incontriamo:

  1. cappella delle Benedizioni (già di Santa Caterina d’Alessandria), affrescata da Pietro Annigoni nel 1981;
  2. cappella di Santa Rosa da Lima, affrescata da Biagio Biagetti;
  3. cappella germanica, dedicata a San Bonifacio e affrescata da Martino Feuerstein;
  4. cappella di Santo Stefano protomartire, affrescata da Lodovico Seitz e Biagio Biagetti;
  5. cappella delle Reliquie (descritta tra breve);
  6. cappella polacca, dedicata a S. Stanislao, con altare di Camillo Boito e affreschi di Taddeo Popiel;
  7. cappella austro-ungarica, dedicata a San Leopoldo e affrescata da Gherardo Fugel;
  8. cappella di San Francesco, affrescata da Adolfo de’ Carolis e Ubaldo Oppi;
  9. cappella di San Giuseppe, affrescata da Ernolao Paoletti.

Vero scrigno dell’arte barocca, la cappella delle Reliquie o del Tesoro, venne eretta alla fine del XVII secolo, su progetto di Filippo Parodi, illustre allievo del Bernini, che inserì magistralmente una cappella barocca su un puro impianto gotico: l’effetto è molto suggestivo.

Il santuario è a pianta centrale e la parete di fronte all’ingresso è occupata dal maestoso fondale – reliquiario, impostato come un arco trionfale a tre fornici, preceduto dalle statue di San Francesco, San Bonaventura e delle Virtù. In alto l’insieme è concluso dal gruppo del Santo in gloria attorniato da angeli musicanti. Tutte le statue sono opera dello stesso Parodi, mentre Pietro Roncaiolo è l’autore delle decorazioni a stucco.

La policromia di marmi, dell’apparato contenente i reliquiari e del pavimento intarsiato, l’architettura e la scultura rendono questa cappella una delle opere più significative della cultura barocca a Padova.

Nel 1745 vennero trasferite qui le reliquie: nelle tre nicchie sono custoditi preziosi reliquiari aurei, ex-voto, oggetti liturgici, autografi di santi, ecc.

Nella nicchia centrale sono esposti il reliquiario trecentesco del mento del Santo e quello della croce di cristallo, ma soprattutto il famosissimo e assai venerato reliquiario con la lingua incorrotta del Santo.

Dopo la recente ricognizione (1981), sono custoditi nella cappella la tonaca di Sant’Antonio e le prime due casse, dove furono posti i resti del Santo e i drappi che lo rivestivano.

Percorso il deambulatorio, in corrispondenza dello pseudotransetto, si giunge alla cappella della Madonna Mora, comunicante con la cappella del Santo. E’ la parte superstite dell’antica chiesetta francescana di Santa Maria Mater Domini. Qui venne sepolto il Santo nel 1231 e vi rimase fino al 1263. E’ un ambiente basso e di dimensioni molto modeste. Sull’ultima parete rimasta intatta è posta una statua policroma della Vergine, capolavoro di scultura realizzato nel 1396 da Rinaldino di Francia. Dello stesso autore è anche l’altare gotico sopra il quale è collocata la statua. Le pareti sono decorate da affreschi, purtroppo mal conservati, di Giusto de’ Menabuoi, Raffaele Fulgosio e Altichiero.

Dalla parete nord della chiesa di Santa Maria si accede alla cappella dedicata ai santi apostoli Filippo e Giacomo, ma più conosciuta come la cappella del beato Luca Belludi, poiché qui è sepolto il compagno di Antonio, nel sarcofago sospeso e infisso nell’abside. Si suppone che l’arca – ora trasformata in altare – in cui il beato Luca era stato sepolto inizialmente, sia stata anche la prima tomba di Sant’Antonio (fino al 1263, anno in cui il corpo venne traslato nella basilica).

La cappella venne interamente affrescata da Giusto de’ Menabuoi che nel 1382 vi dipinse le Storie degli apostoli Filippo e Giacomo e di Luca Belludi: un restauro recente ce li ha restituiti nel loro splendore, essendo stata tolta la patina di nero e grasso, provocata dalle candele accese dai fedeli, che li aveva resi quasi illeggibili.

Si giunge così alla cappella del Santo, posta nel braccio settentrionale del transetto e accessibile sia dalla navata destra sia dalla cappella della Madonna Mora.

La cappella venne modificata nel corso del Cinquecento su progetto di Andrea Briosco, che la modificò completamente: scomparve così l’edificio gotico affrescato da Stefano da Ferrara e vennero sostituite anche le colonne sul lato d’accesso, che la rendevano speculare alla cappella di San Giacomo nel transetto meridionale.

In oirgine l’arca era posta su quattro colonne al centro della cappella e i pellegrini vi sfilavano sotto, mettendosi così simbolicamente sotto la protezione del Taumaturgo.

L’intervento cinquecentesco a opera di artisti come Tiziano Aspetti, Jacopo Sansovino, Pietro e Tullio Lombardo ci ha consegnato un vero modello di arte rinascimentale. Un osservatore che dal centro del transetto si fermi ad ammirare la cappella, verrà subito colpito dallo splendore dei marmi che la rivestono completamente e dall’illusione prospettica giocata dalle arcate cieche su cui sono inserite lastre marmoree con vedute di Padova e soffitti a botte in prospettiva. Le pareti inoltre sono impreziosite da altorilievi marmorei raffiguranti alcuni miracoli del Santo e realizzati da A. Minello, G. Campagna, T. e P. Lombardo e da J. Sansovino.

L’altare, in marmo bianco e verde, venne realizzato da Tiziano Aspetti che lo decorò con statue bronzee. Alla fine del Seicento Parodi aggiunse ai lati dell’altare i due candelabri.

Dopo la cappella del Santo, proseguendo lungo la navata sinistra, si incontrano il monumento a Caterino Cornaro, il monumento al giureconsulto Antonio Rosselli (realizzato da Pietro Lombardo), l’altare dell’Addolorata e l’altare di San Massimiliano Kolbe (dove è collocata una pala realizzata da Pietro Annigoni, raffigurante il sacrificio del santo francescano).

Percorrendo ora la navata centrale si possono osservare i dipinti e i monumenti addossati ai pilastri, fino a raggiungere il presbiterio: dopo l’elegante balaustra su cui sono collocati quattro bronzi di Tiziano Aspetti si giunge finalmente ad aammirare i capolavori donatelliani che adornano l’altare maggiore.

Questa collocazione risale al 1895, anno in cui Camillo Boito progettò di riunire le trenta opere di Donatello, sino allora lasciate sparse un po’ in tutta la chiesa.

Al centro dell’altare, sotto al Crocefisso che probabilmente Donatello aveva cominciato a Firenze, è collocata una Madonna in atto di alzarsi e presentare il Bambino; la figura, materna e regale, è circondata da sei statue di santi: Francesco, Giustina e Ludovico d’Angiò (a sinistra), e Antonio, Daniele e Prosdocimo (a destra). L’altare è ulteriormente decorato da bronzi che raffigurano miracoli di Antonio, i simboli degli evangelisti, angeli che cantano e suonano. Nella parte posteriore dell’altare possiamo ammirare l’opera che segna il vertice della forza espressiva di Donatello: si tratta di una Deposizione di Gesù nel sepolcro in pietra.

Sulla sinistra il candelabro bronzeo di Andrea Briosco conclude elegantemente l’insieme.

Dietro l’altare si allarga un coro ligneo del XVIII secolo, che ha sostituito l’antico coro dei fratelli Canozzi, ricco di tarsie e sculture, scomparso nell’incendio del 1749.

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