La Vita

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Sant'Antonio

LA VITA

Non è facile ricostruire dettagliatamente la vita di S. Antonio, poiché le informazioni lasciateci dagli scrittori del suo secolo sono piuttosto scarne: agli antichi storici poco importava soffermarsi su particolari quali date precise o caratteri fisici dell'uomo Antonio; per loro Antonio non era un semplice personaggio storico, ma un santo, portavoce del messaggio evangelico; per questo motivo le cronache dell'epoca danno grande risalto ai miracoli da lui compiuti e tralasciano di informarci sulla famiglia e sul primo periodo di vita di Sant'Antonio. La Chiesa invece ha voluto sottolineare sin dall'inizio il profilo fortemente intellettuale di Antonio: nel 1232, durante la cerimonia per la canonizzazione del Santo, fu intonato in suo onore il canto proprio dei Dottori della Chiesa; ecco dunque che Antonio viene considerato dalla Chiesa un dottissimo teologo, un maestro da proporre come guida del popolo cristiano, anche se questo ama Antonio soprattutto per la fama degli innumerevoli prodigi e per la sua appassionata dedizione alla predicazione. Della sua vita abbiamo poche notizie biografiche certe e forse troppe agiografiche e quasi leggendarie cresciute col passare del tempo grazie alla fantasia dei suoi devoti. Antonio nacque a Lisbona, primogenito di una famiglia nobile, potente e ricca. L'anno di nascita è ancora oggetto di discussione, ma viene individuato tra il 1190 e il 1195. I genitori, Martino e Maria, nutrivano progetti ambiziosi per il loro Fernando (questo è il nome di battesimo di Fernando): disponevano di notevoli risorse finanziarie, per cui furono in grado di assicurare al figlio un'educazione umanistica che a quel tempo era riservata a pochi. Arrivato a quindici anni Fernando decise di rinunciare agli agi che la sua posizione sociale gli offriva e, nonostante l'opinione contraria dei famigliari, entrò a far parte dell'Ordine dei Canonici Regolari di Sant'Agostino, nell'abbazia di San Vincenzo, fuori le mura di Lisbona. Fu proprio in quest'ambiente che Fernando poté ampliare la sua già notevole cultura, fino a diventare uno degli ecclesiastici più colti dell'Europa del primo Duecento. Rimase a Lisbona per due anni, dopodiché si trasferì a Coimbra, volendo dare un taglio netto con il mondo secolare che troppo spesso riusciva a raggiungerlo e a disturbare il suo raccoglimento. Mise quindi 270 chilometri tra sé e i parenti: non si hanno notizie che attestino un suo ritorno nella città natale. Nel grande monastero di Coimbra l'atmosfera era molto pesante: c'erano una ricca biblioteca e validi insegnanti di teologia, ma era notevole l'ingerenza da parte della Casa Reale; il priore Giovanni, forte della protezione regia, sperperava i beni della comunità conducendo una vita mondana e i canonici si erano divisi faziosamente pro o contro il loro priore. Nel 1220 lo scandalo arrivò a un livello tale da rendere necessario l'intervento del papa. Fernando seppe estraniarsi dalla triste lotta intestina, anche se certamente le due fazioni tentarono in qualche modo di trarre dalla propria parte il nuovo venuto. Portato per indole ad appartarsi e a trascorrere ore nello studio o in preghiera, restio a ostentazioni e indifferente ad ambizioni di carriera, Fernando coltivò lo studio delle scienze umane e teologiche con passione: la sua straordinaria memoria gli permise di ricordare talmente tanti scritti che in seguito si dirà che la sua mente era una biblioteca. Otto anni di studio fecero di lui un Dottore della Chiesa. Probabilmente a Coimbra fu ordinato sacerdote, all'età di venticinque anni. Il 1120 segna una svolta fondamentale nella vita del Santo: in quest'anno prese infatti la decisione di abbandonare il suo Ordine e di entrare tra i francescani. All'inizio dell'anno era giunta a Coimbra la notizia dell'uccisione in Marocco di cinque missionari francescani; le loro reliquie furono portate proprio a Coimbra, nella chiesa di Santa Croce, annessa all'abbazia dove viveva Fernando che ebbe così l'opportunità di venerare i protomartiri francescani. A quel tempo Fernando aveva già incontrato i seguaci di San Francesco, che si erano stabiliti nel vicino eremo di Olivais e che spesso bussavano alla porta del ricco priorato di Santa Croce per mendicare il pane quotidiano. Fernando fu molto colpito dalla gioia e dalla fede di questi frati che giungevano dalla lontana Umbria vestiti miseramente e spossati dalle privazioni. Si trattenne con loro in lunghe conversazioni ed ebbe modo di conoscere il loro stile di vita e la figura carismatica di Francesco. Si rese conto della mediocrità della propria vita e del clima di compromessi che regnava nell'abbazia. Manifestò così l'idea di unirsi al loro movimento, con l'unica condizione di potersi recare tra i saraceni e subire il martirio. Gli umili frati accettarono, felici di avere tra di loro un uomo colto come Fernando; ben più difficile fu per lui convincere il priore (il cui consenso era necessario), a concedergli il permesso di passare al Movimento dei frati Minori. Ottenuto a stento l'assenso, finalmente indossò il saio francescano, assunse il nome di Antonio e lasciò per sempre l'abbazia di Santa Croce tra le vibranti proteste dei parenti, per andarsi a stabilire nella vicina comunità di Olivais. I frati mantennero i patti e lo lasciarono imbarcarsi per il Marocco, ma una malattia contratta appena giunto sul luogo di missione lo costrinse a tornare in patria. In questo modo fallì il suo generoso sogno di apostolato e di martirio. A uno spirito ardente come il suo la rinuncia dovette sembrare molto amara, ma si arrese alla volontà di Dio e abbandonò la terra d'Africa insieme al sogno dettatogli da impulsiva generosità, ma scarso discernimento. Durante la traversata, il veliero che doveva ricondurlo in Portogallo fu costretto dalle avverse condizioni atmosferiche a cambiare rotta e attraccò sulle lontane coste della Sicilia. L'isola del sole fu un toccasana per il suo fisico già provato dalla malattia; Antonio fu ospitato dai frati di Messina e trascorse così due mesi in convalescenza. Intanto ad Assisi stava per aprirsi il Capitolo generale dei frati Minori (30 maggio - 8 giugno 1221), presieduto da San Francesco stesso; all'assemblea furono invitati tutti i frati e così anche Antonio si incamminò verso la città umbra, dove convennero più di 3000 frati che approntarono accampamenti di fortuna alzando capanne di stuoie; per questo l'assemblea verrà ricordata col nome di Capitolo delle Stuoie. In questa occasione venne discussa e approvata la nuova regola. Qui Antonio poté vedere e ascoltare San Francesco: il Poverello influì notevolmente sul suo sconosciuto discepolo che trovò nel suo carisma e nella sua parola una conferma alla decisione che aveva di seguirlo. Dopo il Capitolo, non sapendo proprio dove andare, accettò l'offerta di recarsi come sacerdote all'eremo di Montepaolo, in Romagna, dove vivevano già altri sei frati. Antonio celebrava la Messa, partecipava alle preghiere comunitarie e si occupava delle pulizie; non lasciò mai trapelare la sua profonda cultura teologica e i confratelli lo ritenevano più pratico di stoviglie che di teologia. Poco dopo la metà del 1222 un piccolo evento svelò finalmente il suo talento e il suo eccezionale temperamento di predicatore: si trovava a Forlì per un'ordinazione sacerdotale e, mancando il predicatore di circostanza, fu pregato dal superiore di prendere lui la parola, poiché nessuno se la sentiva di improvvisare. Fu solo in apparenza un ex abrupto: il discorso rivelò ardente spiritualità e profonda cultura biblica. Antonio ricevette l'incarico di predicatore. Fu sempre in contatto con le popolazioni e ne condivise l'umile esistenza; alternò alla catechesi l'opera di pacificatore, d'insegnante di scienza sacra, di confessore e, nelle zone infestate dall'eresia, dovette affrontare gli eterodossi in confronti pubblici e privati, sostenuto dalla sua forte cultura teologica e dalla sua instancabile bontà. In nove anni percorse le strade d'Italia e di Francia e raccolse ad ascoltarlo folle immense. Antonio cominciò il suo apostolato nella provincia minoritica di Romagna, che comprendeva quasi tutta l'Italia settentrionale; dovette quindi gestire un territorio molto ampio e travagliato da numerosi movimenti ereticali. Si recò prima a Rimini, dove all'epoca prosperava una comunità catara; riuscì a ricondurre molti eretici all'ortodossia e a confermare nella fede i credenti. Fonti tarde ambientano colà l'episodio prodigioso della predica ai pesci: il missionario francescano, respinto e schernito dagli eretici, cominciò a predicare ai pesci che affiorarono numerosissimi ad ascoltare la parola di Dio. Probabilmente è solo una leggenda, ma è anche simbolo poetico della fede incrollabile di Antonio. Alla fine del 1223 - o agli inizi del '24 - il Santo si trovava a Bologna, che era a quel tempo il secondo centro universitario della Cristianità, dopo Parigi. Qui egli ricevette da San Francesco, oltre l'incarico di predicare al popolo, l'approvazione all'apertura di una scuola di teologia: venne così inaugurato il primo Studium francescano e Antonio fu il primo professore di teologia dell'Ordine dei Minori. Lo stesso San Francesco gli affidò questo incarico con una breve lettera in cui esprimeva il proprio rispetto verso il teologo Antonio che evidentemente era considerato quanto di meglio per cultura vi fosse nell'Ordine. Francesco si rese conto della necessità di un corso regolare di studi anche nell'Ordine, pur essendo egli stesso di modesta istruzione e avendo sempre considerato marginale lo studio, nel timore che questo rubasse tempo alla preghiera. In seguito all'insegnamento di Antonio, sorse nell'Ordine una grande scuola teologica, che ebbe esponenti di spicco quali San Bonaventura e Duns Scoto. Verso la fine del 1224 Antonio venne inviato nella Francia meridionale, forse su richiesta dello stesso pontefice per tentare di arginare la dilagante eresia albigese. Già molti religiosi - cistercensi, domenicani, francescani - erano impegnati in una grande missione nell'Albigese e avevano dato il meglio di sé in quell'opera di conciliazione. Tra essi emersero la figura e l'azione di Antonio. Fu predicatore e maestro di teologia a Montpellier, importante centro universitario e baluardo dell'ortodossia cattolica. Si spostò poi ad Arles, dove fu riunito il capitolo provinciale di Provenza: qui, mentre Antonio stava tenendo un sermone, apparve all'uditorio San Francesco, in atto di benedire i suoi frati. L'avvenimento, misterioso e impressionante - Francesco si trovava infatti in Italia - cinse di un alone di soprannaturale il missionario. Insegnò anche a Tolosa, dove affrontò in dispute pubbliche e discussioni private gli albigesi, nel tentativo di ricondurli al Cattolicesimo. Al soggiorno tolosano viene riferito il miracolo del mulo che adora l'Eucarestia. Fece ritorno in Italia nel1227 e gli fu nuovamente affidata la provincia di Romagna. Come provinciale Antonio doveva visitare periodicamente tutti i conventi della sua giurisdizione; di conseguenza in questi anni non fece che spostarsi da una città all'altra nel vasto territorio dell'Italia settentrionale: ormai i frati avevano cominciato a costruire conventi e a organizzarsi secondo le regole della vita monastica. Esistevano conventi a Milano, Venezia, Vicenza, Verona, Ferrara - Dove avvenne il miracolo dell'infante che proclama l'innocenza della madre - e a Trento, Brescia, Cremona e Varese. Come residenza - provvisoria, dato il suo continuo viaggiare - Antonio scelse il convento di Padova. In questo periodo si possono collocare alcuni tra i più celebri miracoli del Santo. Nel 1230 Antonio prese parte al capitolo generale dei francescani, tenutosi ad Assisi. Si dimise dal provincialato per meglio dedicarsi alla predicazione e, sempre nello stesso anno, fu inviato a Roma per il disbrigo di affari dell'Ordine. Quindi si stabilì a Padova. I francescani di Padova avevano scelto come sede una modesta abitazione appoggiata alla chiesetta di Santa Maria Mater Domini, donata loro dai canonici del luogo; una parte della chiesa primitiva è ancora oggi incorporata nella Basilica del Santo. Antonio visse in questo convento in due diversi periodi, nel1229 per alcuni mesi e dal settembre del1230 sino alla morte: complessivamente poco più di dodici mesi. Padova era a quel tempo una città ricca per commerci e industrie, e contava una popolazione di circa 15000 abitanti; nella tranquillità di Santa Maria Mater Domini, Antonio si accinse a portare a termine quella che diverrà la sua opera maggiore: i Sermones. L'opera, dottrinale, è di mole imponente: da essa emergono la vastità della cultura sacra di Antonio e la metodica del suo insegnamento. Non si basa sulla solida costruzione di sillogismi della tradizione scolastica, sempre fedele alla logica aristotelica; procede per sentenze, agganciate ad altre sentenze, che interpretano le scritture in modo apparentemente fantasioso, ma in realtà coltissimo e suggestivo. Non riuscì mai a portare a termine i suoi Sermones: li interruppe per dedicarsi alla predicazione e non ebbe più modo di riprenderli. La predicazione antoniana in Padova raccolse un consenso irrefrenabile: nessuna chiesa fu sufficiente ad accogliere la folla accorrente e in seguito neppure le piazze bastarono più. Fu quindi necessario uscire in campagna dove il Santo, dotato di una voce stentorea, dedicava tutto il proprio tempo e le proprie energie alla popolazione: predicazione e confessioni lo portavano spesso al termine della giornata senza aver toccato cibo. Anche per questo motivo le dimissioni dal provincialato furono accettate: il suo stato fisico non gli consentiva di occuparsi di una zona tanto vasta. Non entrò mai nelle contese politiche, tuttavia ricordiamo due suoi interventi in favore dei cittadini: la missione - fallita - presso Ezzelino da Romano e la promulgazione di una nuova e più umana legge nei confronti dei debitori insolventi. Nel1231, a maggio inoltrato, Antonio decise di lasciare Padova e spostarsi in campagna, per non distogliere i contadini dal loro lavoro e per prendersi un po' di riposo dopo tre mesi di durissimo impegno quotidiano. Si trasferì a Camposampiero accompagnato da due frati, l'inseparabile Luca Belludi e fra Ruggero. Fu ospitato dall'amico conte Tiso. Su richiesta di Antonio provvide affinché gli venisse costruita una cella su di un grande noce nelle vicinanze del convento, per pregare in solitudine; ben presto però, gruppi sempre più numerosi di fedeli si radunarono sotto il noce per vedere e ascoltare Antonio. A sera rientrava nell'eremo che Tiso aveva donato ai francescani. Durante questo soggiorno una tradizione locale pone la Visione di Gesù Bambino, che altre testimonianze collocano in Francia. Il fenomeno sovrumano può anche essersi ripetuto, dal momento che il Santo aveva speciali contatti con la realtà celeste. Le fonti narrano che una sera Tiso, mentre si recava nella stanza del Santo, vide sprigionarsi dall'uscio socchiuso un intenso splendore. Pensò con spavento che si trattasse di un incendio, ma quando spalancò la porta si trovò spettatore di una scena prodigiosa: Antonio stringeva tra le braccia Gesù Bambino. Scomparsa la visione, il Santo si accorse della presenza del conte e lo pregò di non farne parola con nessuno. Solo dopo la morte di Antonio Tiso raccontò quel che aveva visto. 13 giugno 1231, venerdì: unica data completa certa della vita del Santo. Verso mezzogiorno Antonio fu colpito da un collasso; i frati che lo soccorsero si resero subito conto della gravità della situazione. Poiché espresse il desiderio di essere riportato al convento di Santa Maria Mater Domini per non dare incomodo ai frati di Camposampiero, i suoi fedeli fra Luca e fra Ruggero lo adagiarono su di un carro trainato da buoi e si incamminarono verso Padova. Le condizioni dell'infermo erano sempre più gravi e i frati, anche per non creare scompiglio tra la popolazione, decisero di fermarsi al monastero di Santa Maria de Cella (Arcella), dove viveva una comunità di Clarisse e nelle cui vicinanze i francescani avevano una modesta abitazione. Antonio venne adagiato in una cella e i frati gli si strinsero intorno per accompagnare con la preghiera le sue ultime ore. Un altro attacco consumò le sue ultime energie. Si confessò e ricevette l'estrema unzione. Nonostante fosse ormai allo stremo delle forze, riuscì a cantare col coro dei fratelli la melodia gregoriana di un Inno alla Vergine: O gloriosa Domina Excelsa supra sidera (O gloriosa Signora, più alta delle stelle!). Terminato il canto, Antonio rimase assorto per qualche tempo; al frate che lo sorreggeva e che gli chiedeva cosa stesse fissando così intensamente, rispose: "Vedo il mio Signore!". Morì a 36 anni non compiuti. Erano circa le cinque del pomeriggio. Appena poche ore dopo la morte di Antonio, i frati di Padova, che intendevano spostare il corpo del loro fratello nella chiesa di Santa Maria, dovettero affrontare la strenua opposizione delle Povere Dame Clarisse e degli abitanti del vicino borgo di Capo di Ponte: le Clarisse tentarono di ottenere dalle autorità che il Santo fosse sepolto all'Arcella e i borghigiani si armarono per impedire che il corpo venisse portato altrove. Dopo tre giorni di lotta senza esclusione di colpi - incluse la corruzione e l'intimidazione delle autorità che erano state coinvolte - si giunse a un accordo e la salma fu trasportata nella chiesa di Santa Maria in Padova. L'arca che conteneva le spoglie di Antonio fu collocata su colonne attraverso cui passavano i devoti che in tal modo si ponevano simbolicamente sotto la protezione del Santo. Folle di pellegrini si recarono a pregare sulla tomba di Antonio, attirati anche dalla fama sempre crescente dei suoi miracoli. Gli avvenimenti destarono l'interesse delle autorità ecclesiastiche: papa Gregorio IX istituì un tribunale diocesano a Padova, con il compito di esaminare i miracoli attribuiti al Santo. Le indagini furono condotte molto celermente e alla fine la maggior parte dei cardinali propendeva per la canonizzazione di Antonio. Il 30 maggio 1232, a meno di un anno dalla morte del Santo, il papa elevò frate Antonio di Padova alla gloria degli altari. Subito iniziarono i lavori per costruire una nuova tomba per il Santo, che fosse in grado di accogliere le schiere di pellegrini che incessantemente affluivano alla chiesetta di Santa Maria. Finalmente, nel 1263, il corpo fu traslato nella nuova chiesa; in quest'occasione, alla presenza di S. Bonaventura, venne aperto il sarcofago: la lingua era rimasta prodigiosamente incorrotta. S. Bonaventura la mostrò alla folla e, tra la commozione generale, esclamò: "O lingua benedetta, che sempre hai benedetto il Signore e lo hai fatto benedire dagli altri, ora è a tutti noto quanto merito hai acquistato presso Dio". Assieme alla lingua, anche il mento e un dito del Santo vennero posti in reliquiari, mentre il corpo fu sigillato in nuova cassa e deposto nell'arca. Solo nel 1981 si procedette a una seconda ricognizione: i sigilli apposti da S. Bonaventura nel 1263 erano ancora intatti.

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